Fra Massimo Fusarelli: San Francesco ci invita a non stancarci nel cammino della riconciliazione
Foto: IKA // Josip Konjarik i fra Massimo Fusarelli
Zagreb (IKA)
Giovedì 24 ottobre 2024, il Ministro generale dell'Ordine dei Frati Minori, fra Massimo Fusarelli, ha visitato i francescani presso Kaptol di Zagabria, e in quell'occasione ha dato un'intervista all'Agenzia cattolica informativa, che trasmettiamo integralmente.
Il motivo della Sua visita è la benedizione della parte recentemente rinnovata del monastero a Kaptol. Questa non è la Sua prima volta in Croazia. Come percepisce la Chiesa in Croazia, tenendo conto che la Croazia è considerata come uno dei paesi più francescani nel mondo e che lavora a stretto contatto con i francescani croati?
Sono stato in Croazia molte volte e posso dire che mi sento a casa nel vostro paese. Conosco diverse case e realtà dei francescani. Meno quelle ecclesiali. Però ho avuto modo di incontrare comunità e persone, vescovi e responsabili della Chiesa. Posso dire di percepire la Croazia come un paese che fa un po’ da ponte. Sia tra Oriente e Occidente, e questa è da sempre una sua naturale vocazione, sia tra un mondo europeo più secolarizzato e un altro che ha ritmi diversi. La Chiesa in Croazia è ricca di una tradizione di incrollabile fedeltà al Vangelo, che è stata anche molto messa alla prova. Questa è una ricchezza che va sostenuta e alimentata con il continuo rinnovamento evangelico. Ormai dobbiamo riconoscere che spesso viviamo un cattolicesimo più culturale che battesimale, cioè di scelta e quindi di missione. La Chiesa in Croazia credo abbia bisogno, come in tutto il mondo occidentale, non solo di diventare sempre di più un popolo di uomini e donne che scelgono e aderiscono a Gesù Cristo, rinnovando il loro battesimo. Bisogna farlo, come dice Papa Francesco, da discepoli-missionari: la fede non è un prodotto privato da consumare da soli, ma è un dono da annunciare a tutti, da condividere, da gridare sui tetti. Direi alla Chiesa in Croazia che può osare di più per un annuncio missionario del Vangelo nelle sue stesse città, campagne, strade e famiglie. Occorre aprire strade nuove lì dove nessuno sembra riconoscerle. Anche tra le persone che sembrano apparentemente più lontane da un discorso di fede, ci sono segni dell’opera dello Spirito. A noi riconoscerli, accompagnarli e sostenerli.
Organizzati dal Consiglio delle comunità francescane di Croazia e Bosnia ed Erzegovina, due settimane fa a Zagabria sono stati celebrati i Centenari francescani. In quell’occasione venne conservata una reliquia del sangue di san Francesco, venerato dai credenti di tutta la Croazia. Sembra che il messaggio di Francesco sia attuale ancora oggi. Cosa dice Francesco alle persone di oggi 800 anni dopo aver ricevuto le sante piaghe?
Credo fortemente che Francesco sia sempre attuale, perché semplicemente è ispirato dal Vangelo, riporta le parole, la logica, la mentalità del Vangelo, il quale tocca le persone di ogni generazione. In Francesco poi, è evidente che non c’è differenza e distanza tra quello che dice e quello che è, perché è un uomo sincero, autentico, vero! Francesco ha saputo parlare di Dio, far vedere l’amore di Cristo attraverso la sua vicinanza alle persone, la sua capacità di amare i piccoli peccatori, la sua volontà di restare ultimo tra gli ultimi. Come può non parlare con una testimonianza del genere? Francesco ha vissuto anche le sue inquietudini, le sue fatiche., la cosiddetta “grande tentazione” di spirito prima di salire alla Verna. Una volta ricevute le Stimmate riparte con rinnovato entusiasmo per l’annuncio del Vangelo e per rivolgersi agli stigmatizzati del suo tempo. Vorrei dire che Francesco è contemporaneo, porta in sé quei sentimenti che oggi noi ben conosciamo. Ci aiuta a cercare il Signore e ad approfondire chi siamo noi, nell’incontro con gli altri, soprattutto con gli emarginati e i feriti del nostro tempo. Anche per questo può essere ed è un punto di riferimento per tutti noi e continua a parlarci.
È in processo di ristrutturazione della Provincia francescana di s. Girolamo in Dalmazia e Istria, che diverrà custodia dipendente della Provincia francescana croata di s. Cirillo e Metodio. Questo è il primo processo di questo tipo in Croazia, ma tale pratica esiste già in altri paesi. Qual è la causa di ciò e pensa che rafforzi o indebolisca le comunità francescane?
In diverse parti del mondo siamo impegnati a ripensare l’attuale struttura delle Province e a cercare forme di integrazione e di collaborazione corresponsabile. Nel passato eravamo certamente più forti, avevamo tante Province perché le comunicazioni non erano così semplici e le distanze molto grandi. Oggi è perfettamente il contrario e se possiamo integrare le nostre presenze e concentrare le nostre energie in vista della missione, vogliamo farlo. La Provincia non è una realtà assoluta, piuttosto è il modo in cui ci organizziamo sul territorio. Questo è già cambiato molte volte lungo la storia e sta cambiando ancora, anche in Croazia. Non ho nessuna paura di questo cambiamento, anche dove questo processo inizia ora, come in Croazia. Ci vogliono occhi sapienti nello spirito e capaci di leggere la realtà umana per attraversare questo tempo nuovo che viviamo e trovare vie creative per abitarlo. Non possiamo continuare a ripetere solo il passato come è stato, senza aprire nuove strade. Certamente è difficile fare il lutto davanti a realtà secolare che si trasformano. La scelta più importante è quella di favorire e promuovere la vita e questo viene prima delle strutture, che devono servire la vita e la missione e non il contrario!
La Chiesa si trova di fronte alla cosiddetta crisi delle vocazioni e nel contesto di un numero ridotto di vocazioni, ma anche riguardo alla qualità della comunità religiosa e all’autentica testimonianza del carisma. Come vede la situazione attuale dell’Ordine dei Frati Minori in Europa, ma anche nel mondo in generale?
Dobbiamo riconoscere che viviamo un tempo ormai prolungato di crisi delle vocazioni e anche. Di difficoltà a rendere trasparente e più visibile la qualità di vita e di testimonianza delle nostre comunità religiose. Le ragioni sono molte e spesso complesse. Sappiamo bene, e dobbiamo accettarlo ancora di più, di non vivere più ormai in una società cristiana. Siamo passati da un cattolicesimo culturale e di popolo a un cristianesimo di scelta e di missione. Semplificando, direi, da un sistema religioso che era chiaro e delimitato in una società piuttosto statica e ben strutturata. Oggi ci è chiesta una risposta di fede consapevole e libera. Non è facile nell’attuale contesto. In questa situazione vediamo che anche le vocazioni sono passate da vocazioni spesso sociologiche a vocazioni che chiedono sempre di più scelta personale e controcorrente. Dobbiamo riconoscere che le vere vocazioni sono sempre state un po’ così. Anche il giovane Francesco si è messo contro la famiglia e contro tutta la città di Assisi per seguire la sua vocazione, che non era evidente e tranquilla per tutti in quel contesto religioso e sociale. Francesco ha superato i confini, è andato al cuore del Vangelo e per questo ha avuto opposizione. Oggi seguire una vera vocazione alla vita religiosa, al sacerdozio, come anche al matrimonio cristiano chiede di oltrepassare le stesse frontiere e di fare una scelta che rompe gli schemi abituali a cui siamo abituati. Questo non è facile, non è per tutti, anzi credo sia per pochi. Allora le vocazioni oggi non sono solo rivolte a mantenere le strutture che abbiamo, ma a rendere bella, trasparente ed eloquente per tanti la vita cristiana e religiosa.
Quando parliamo di qualità della vita cristiana e religiosa abbiamo spesso in mente un modello di perfezione al quale dovremmo tutti corrispondere. Nella storia della Chiesa le cose sono sempre state molto più complesse e sfumate. Ci sono stati periodi molto peggiori di oggi per la qualità della vita e della testimonianza dei religiosi nei secoli passati. Per esempio, prima del Concilio di Trento la situazione era semplicemente drammatica, come anche ai tempi di Francesco. Oggi noi religiosi siamo chiamati, credo, a dare testimonianza di una vita che sia innanzitutto pienamente umana e umanizzante. Che sia tale da annunciare il Regno di Dio proprio a partire dalla qualità delle nostre relazioni, alimentate dalla preghiera personale e comunitaria, da uno stile di vita semplice e sobrio, dalla disponibilità alla missione. Sono questi i punti essenziali della nostra vita religiosa che non possono mancare anche oggi.
Posso dire che in Europa oggi abbiamo ancora delle vocazioni, e non è poco! Ci sono anche in paesi che per lunghi anni non hanno più conosciuto il dono di nuovi giovani all’Ordine. La fisionomia e la qualità delle nuove vocazioni è molto diversa, è nuova e dobbiamo saperla riconoscere, accettare e accompagnare. Questa è la sfida più grande, anche rispetto alla penuria di vocazioni. Questo ci dice che non possiamo accogliere nuove vocazioni solo per continuare quello che noi già abbiamo in termini di presenze e di attività, ma anche per sognare e aprire cammini nuovi. Questo per noi francescani è particolarmente importante.
Considerando l’attuale situazione in Medio Oriente e la presenza dei francescani della Custodia di Terra Santa in quella zona, può il messaggio di pace di Francesco raggiungere il cuore di coloro che sono responsabili dell’attuale situazione? Come vivono e servono attualmente i francescani lì?
800 anni fa San Francesco ha osato attraversare la frontiera che separava il mondo cristiano da quello musulmano, andando nel campo di battaglia che divideva saraceni e cristiani. È stato sia con gli uni che con gli altri, ha incoraggiato e animato i soldati cristiani e li ha invitati a non proseguire la guerra. Non è stato ascoltato. Si è fatto pellegrino di pace tra i saraceni e ha incontrato il sultano Al-Malik, con il quale possiamo dire che ha avuto un incontro di spessore umano e spirituale notevole. La grande sorpresa, secondo i cronisti dell’epoca, era quella di vedere un cristiano senza armi andare verso i “nemici”. Questa è stata la profezia di Francesco, che però non ha avuto un risvolto positivo immediato. Credo che oggi la parola forte di Francesco in Medio Oriente sia quella di continuare in tutti i modi possibili i percorsi e le mediazioni di pace, per invitare i contendenti a sedersi allo stesso tavolo e a dialogare, avendo a cuore soprattutto la situazione dei civili e dei più indifesi. I risultati verranno con pazienza. Non possiamo pretenderli subito. Ci vuole anche un di più di immaginazione per pensare come far convivere due popoli in un territorio molto piccolo. Ma bisogna trovare un modo.
I frati restano in quel luogo, pur con i pericoli presenti, come del resto negli ultimi otto secoli! Le necessità più urgenti sono quelle di sostenere la popolazione di Gaza e del sud del Libano e aitare quanti hanno perso lavoro e dignità con l’assenza di pellegrini e turisti. Siamo impegnati nel garantire abitazione, cibo e salario almeno parziale a molti, insieme alle scuole, spesso gratuite per molti di loro. Anche restare e nutrire la vita spirituale e quindi la speranza è un servizio prezioso e urgente.
Di fronte a tutte le sfide e difficoltà menzionate, come può la Buona Novella di Cristo, di cui Francesco è stato testimone con la sua vita, essere fonte di speranza per l’uomo di oggi e incoraggiamento a dedicazione totale al Signore?
Mi chiedo qualche volta: se il Signore Gesù tornasse e pronunciasse il discorso della montagna nelle nostre piazze, nei nostri parlamenti, alle Nazioni Unite e là dove si decide la finanza mondiale, come sarebbe accolto? Non penso bene. Il Vangelo resta una parola alternativa a quella del mondo e della comune sensibilità. Allora? La Buona Notizia di Gesù Cristo può essere una fonte di speranza per l’uomo di oggi se la annunciamo con la vita anzitutto come una parola alternativa, profetica, capace di sfidare le potenze di questo mondo, di ogni tipo. Non come un sasso lanciato sui nostri contemporanei, ma proprio come una parola di speranza, una finestra aperta sul buio drammatico di questo tempo difficile e tragico che stiamo vivendo. La domanda allora è rivolta a noi cristiani: siamo capaci di gridare la parola del Vangelo in questo modo al nostro mondo di oggi? Se questo avviene, sono certo, non pochi sentiranno la chiamata e l’entusiasmo di dedicare la loro vita a una parola che sola sa dare speranza, suscitare vita, promettere salvezza, cioè vita piena, vita bella e buona.
E infine, come fratello di Francesco, cosa direbbe ai fedeli croati?
Questa domanda mi da una grande responsabilità! Credo che Francesco direbbe ai fedeli croati di oggi di non avere paura di questo tempo, delle tensioni presenti nella nostra società e che hanno raggiunto anche questo paese. Direbbe ancora di guardare con speranza al futuro, perché questo resta nelle mani di Dio; di raccogliere l’eredità di fede ricevuta dalla storia e di renderla viva e attuale oggi; di non guardare solo fedeli che ci sono e che frequentano le nostre comunità, ma di avere occhi e cuori aperti per i tanti, soprattutto giovani, che ormai sono lontani. Anche tra loro ci sono cercatori di speranza e di senso della vita. Cerchiamo i modi, i linguaggi, le vie per raggiungerli e far risuonare per molti la Bella Notizia del Vangelo.
Direi infine che Francesco chiede ai fedeli croati di continuare a essere donne e uomini di riconciliazione e di pace. La vostra terra ha conosciuto fino a pochi anni fa l’orrore della guerra, con tutte le conseguenze che questa porta. Non vorremmo più vederla e per questo è importante seminare la pace in modo concreto. San Francesco ci invita a questo, sempre, senza stancarci.