Istina je prava novost.

Il saluto del Nunzio Apostolico Giorgio Lingua ai segretari generali

Il saluto del Nunzio Apostolico in Croazia mons. Giorgio Lingua all'incontro dei segretari generali delle Conferenze episcopali d'Europa, 30 giugno 2022, Zagreb

Eminenza, Eccellenze, cari fratelli e sorelle in Cristo,

ringrazio per avermi gentilmente invitato a questo 49° incontro annuale dei Segretari Generali delle Conferenze Episcopali d’Europa, che ha per titolo “La Chiesa in Europa in cammino sinodale”.

Se foste venuti a Zagabria all’inizio di questo mese, avreste potuto vedere con i vostri occhi un bell’esempio di come dovrebbe essere “la Chiesa in Europa in cammino sinodale”.

La vigilia di Pentecoste, infatti, nel principale stadio di calcio di questa Capitale, si è tenuto un concerto di musica spirituale con la partecipazione di oltre 50.000 persone, in gran maggioranza giovani. Il concerto è stato preceduto, nel pomeriggio, da conferenze, preghiere e tante, tantissime confessioni. Il tutto era seguito e sostenuto, nella cappella dello stadio, dall’adorazione continua.

A me è sembrata una Pentecoste del terzo millennio. Vedevo la realizzazione dell’Esortazione Apostolica programmatica di Papa Francesco Evangelii Gaudium che inizia con queste parole: “La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia” (EG 1). Allo stadio Maksimir si vedeva una chiesa viva che “gridava dai tetti” la gioia di essere cristiani.

I giorni seguenti i commenti erano entusiasti. Qualcuno mi ha detto: “erano tutti felici, gente di ogni partito e orientamento di pensiero, di destra e di sinistra, conservatori e progressisti, pro e contro la vaccinazione, cattolici e cristiani di altre denominazioni”.

Tutti felici. Perché? Perché si camminava insieme, come Chiesa. E Gesù era lì, si sentiva la Sua presenza che alitava lo Spirito sui discepoli e portava in dono la pienezza della gioia.

Erano presenti, ovviamente, anche i Pastori: Sua Eminenza, l’Arcivescovo di Zagabria, Sua Eccellenza il Presidente della Conferenza Episcopale con il Segretario Generale e numerosi sacerdoti, parroci, catechisti e formatori. Anche il Nunzio assisteva. La Gerarchia era presente, ma tutto era stato organizzato dal basso, dai laici. I Pastori stavano con il gregge, osservando e giudicando, secondo il loro carisma, ma senza interferire, con rispetto, come loro dovere, per rettificare e perfezionare a tempo opportuno.

Qualcuno mi dirà che sto esagerando con le lodi, che mi sono lasciato prendere dall’entusiasmo. Può darsi, ma quante volte si esagera nel senso opposto: nel criticarci, nel giudicarci, nel condannarci? Ma allora non è più cammino sinodale.

“Camminare insieme” significa darsi la mano, aiutarci a rialzarsi, gareggiare nello stimarci a vicenda, ritenendo gli altri superiori a noi stessi, ascoltarci con l’umiltà di lasciarci correggere e correggere con la carità che nasce dalla responsabilità, ma non condanna mai.

Grazie per aver scelto la Croazia per questo vostro incontro.

Vi auguro di saper “guardare con il cuore”, come diceva il titolo del menzionato concerto: Progledaj srcem, “guarda con il cuore”, cioè con uno sguardo misericordioso.

“Guardare con il cuore” a questa Europa ferita, umiliata da una guerra che non si prevedeva. Un’Europa che pare sconfitta nei suoi ideali e non in grado di rispettare quanto solennemente dichiarato nello Statuto delle Nazioni Unite, cioè di “(…) salvare le future generazioni dal flagello della guerra (…)” e che per “mantenere la pace e la sicurezza internazionale” intendono “(…) conseguire con mezzi pacifici, ed in conformità ai princìpi della giustizia e del diritto internazionale, la composizione o la soluzione delle controversie o delle situazioni internazionali che potrebbero portare ad una violazione della pace” (cf. Statuto delle Nazioni Unite, Premessa e art. 1).

Forse la spontanea simpatia che ha attirato su tutti noi l’Ucraina per l’ingiusta aggressione subita e per la sproporzione delle forze in campo, ha influenzato la nostra ottica e condizionato la risposta. Si sono tentate tutte le possibili soluzioni “con mezzi pacifici”?

Se vi è unanimità nel ritenere che l’Ucraina ha diritto alla legittima difesa, il Santo Padre ha espresso più volte un grande scetticismo sul metodo scelto per tale difesa ed ha disperatamente cercato di fermare l’aggressore preferendo la via diplomatica, ricorrendo persino all’inconsueto gesto di recarsi in persona all’ambasciata di quel Paese credendo, ostinatamente, nella forza dei rapporti, nel potere della persuasione, nel residuo di umanità dell’avversario. Tutto questo per evitare il ricorso alle armi, oggi così letali da mettere in discussione il concetto stesso di guerra giusta.

Anche il Segretario di Stato, Card. Pietro Parolin, ha affermato: “Certamente con le armi non si costruisce la pace”, pur precisando che “questo discorso, come sempre ho ripetuto, va inquadrato nel contesto di quel tema della legittima difesa e delle condizioni con cui questa legittima difesa può realizzarsi” (Intervento a “Coopera”, seconda conferenza nazionale della cooperazione allo sviluppo, Roma, 23 giugno 2022).

Già a fine aprile aveva affermato: “Non entro nel merito delle decisioni che i vari Paesi hanno preso per l’invio di armi all’Ucraina, che come nazione ha diritto a difendersi dall’invasione subìta”, ma aveva aggiunto che “limitarsi alle armi rappresenta una risposta debole”. Se si vuole dare una risposta forte occorrerebbe piuttosto intraprende “iniziative per fare cessare i combattimenti, per arrivare a una soluzione negoziata, per pensare a quale sarà il possibile futuro di convivenza nel nostro Vecchio Continente” (Il cardinale Parolin alla Lumsa per la presentazione del libro “Contro la guerra”, Solferino – LEV, 22 aprile 2022).

Col proseguire degli scontri e viste le orribili immagini di distruzione e morte che ogni giorno arrivano dalla martoriata Ucraina, Papa Francesco nel corso del Regina Caeli del 1° maggio si è domandato “se si stia veramente ricercando la pace” e “se ci sia la volontà di evitare una continua escalation militare e verbale; se si stia facendo tutto il possibile perché le armi tacciano”, ed implorava: “Vi prego, non ci si arrenda alla logica della violenza, alla perversa spirale delle armi. Si imbocchi la via del dialogo e della pace!” (Regina Caeli, 1° maggio 2022).

Ma l’ostinata determinazione del Pontefice nella ricerca di soluzioni pacifiche è finora rimasta disattesa e chi avrebbe dovuto rispondere per primo non ha dato alcun riscontro, dimostrando chiusura ad ogni tentativo di ragionamento.

Ma non è proprio nella irragionevolezza dell’aggressore che sta il grande pericolo? Lo sappiamo bene che abbiamo a disposizione strumenti di morte tali da essere in grado di distruggere 10 volte l’intero pianeta!

Il 21 giugno scorso Papa Francesco metteva in guardia dalle “catastrofiche conseguenze umanitarie e ambientali che deriverebbero da un eventuale uso di armi nucleari, con effetti devastanti, indiscriminati e incontenibili, nel tempo e nello spazio” (Messaggio inviato in occasione della prima Riunione degli Stati Parte al Trattato sulla proibizione delle armi nucleari).

Dopo essersi amaramente domandato, la Domenica delle Palme: “…che vittoria sarà quella che pianterà una bandiera su un cumulo di macerie?”, il giorno di Pasqua tornava ad esortare: “Chi ha la responsabilità delle Nazioni ascolti il grido di pace della gente. Ascolti quella inquietante domanda posta dagli scienziati quasi settant’anni fa: «Metteremo fine al genere umano, o l’umanità saprà rinunciare alla guerra?» (Manifesto Russell Einstein, 9 luglio 1955)” (Messaggio Urbi et Orbi, 17 aprile 2022).

Forse, se guardiamo con il cuore possiamo capire meglio anche come illuminare la ragione e inventare vie nuove per ascoltare il grido di pace della gente.

A volte, infatti, non basta pensare che sia giusto e legittimo quello che facciamo, il cuore, che tiene conto delle conseguenze, ci invita a considerare anche gli incalcolabili danni collaterali che un conflitto produce e che ricadono, come spesso accade, su chi in esso non c’entra affatto e sta già portando il peso di tante altre ingiustizie.

Se guardiamo con il cuore forse riusciamo anche a continuare a sperare e ci accorgiamo anche che, come diceva ancora Papa Francesco: “Nel dolore della guerra non mancano anche segni incoraggianti, come le porte aperte di tante famiglie e comunità che in tutta Europa accolgono migranti e rifugiati” ed auspicava: “Questi numerosi atti di carità diventino una benedizione per le nostre società, talvolta degradate da tanto egoismo e individualismo, e contribuiscano a renderle accoglienti per tutti” e augurava: “Il conflitto in Europa ci renda più solleciti anche davanti ad altre situazioni di tensione, sofferenza e dolore, che interessano troppe regioni del mondo e non possiamo né vogliamo dimenticare.” (Domenica di Pasqua – idem).

Occorre guardare con il cuore per vedere tutti coloro che bussano alle nostre frontiere, incontrando più diffidenza che solidarietà! Per non abituarsi a nessun tipo di violenza, perché non ci sono conflitti accettabili e altri crudeli. Le ferite sono sempre dolorose e il diritto a un rifugio sicuro e alla protezione vale per tutti.

A questo proposito, davanti al Parlamento Europeo il Santo Padre ricordava, in particolare, un tipo di conflitto che non attira l’attenzione del mondo, se non quando succede qualche evento eclatante, quello che riguarda le minoranze religiose, e diceva: “Non possiamo (…) non ricordare le numerose ingiustizie e persecuzioni che colpiscono quotidianamente le minoranze religiose, e particolarmente cristiane, in diverse parti del mondo. Comunità e persone che si trovano ad essere oggetto di barbare violenze: cacciate dalle proprie case e patrie; vendute come schiave; uccise, decapitate, crocefisse e bruciate vive, sotto il silenzio vergognoso e complice di tanti” (Discorso di Papa Francesco al Parlamento Europeo, Strasburgo, 25 novembre 2014).

Assicurava allora “la disponibilità della Santa Sede e della Chiesa cattolica, (…) a intrattenere un dialogo proficuo, aperto e trasparente con le istituzioni dell’Unione Europea (…) convinto che un’Europa che sia in grado di fare tesoro delle proprie radici religiose, sapendone cogliere la ricchezza e le potenzialità, possa essere anche più facilmente immune dai tanti estremismi che dilagano nel mondo odierno, (…) perché – e citava il Suo Predecessore, Papa Benedetto XVI – «è proprio l’oblio di Dio, e non la sua glorificazione, a generare la violenza»”(idem)”.

Il 2 dicembre scorso, dopo due mesi di lotta contro il virus del Covid, è tornato alla casa del Padre un mio caro amico, già mio formatore nel Seminario di Cuneo, che molti di voi avranno forse conosciuto, S.E. Mons. Aldo Giordano, Nunzio Apostolico presso l’Unione Europea. Era stato per 13 anni Segretario generale del Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (CCEE) a St. Gallen e poi per quasi 6 anni Osservatore Permanente della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa a Strasburgo. Al termine di questa lunga esperienza europea, prima di partire come Nunzio Apostolico in Venezuela, raccolse le sue analisi e riflessioni in un volume dal significativo titolo “Un’altra Europa è possibile! Ideali cristiani e prospettive per il vecchio Continente”. In esso manifestava la sua speranza, fortemente radicata nella fede della vittoria del Risorto sul male e sulla morte. Il vuoto dei valori, l’assenza di scopo, così come ogni altro inspiegabile dramma, secondo Mons. Giordano trovano una risposta in Colui che si è fatto Nulla, Colui che senza ricusare di bere fino in fondo il calice amaro di una sofferenza inspiegabile e ingiusta, ha fatto proprie le piaghe dell’umanità e ha risanato ogni ferita con la Risurrezione.

In un articolo del 1998 scriveva: “Penso che la più grande sfida per i cristiani sia ritornare ad imparare dall’unica cattedra che apre la possibilità della riconciliazione: il Cristo crocifisso fuori le mura che entra negli abissi delle divisioni della storia e all’interno della ferita vive un amore che è dono totale di sé, un amore che vince il dolore, le divisioni e la morte. Nel Cristo anche il dolore e la morte non sono più mera distruzione, ma passaggio. È il Cristo, crocifisso e risorto, il Dio che ha unito cielo e terra” (“Prospettive ecumeniche dopo Graz”, Gen’s, rivista di vita ecclesiale, maggio-agosto 1998).

Questo sguardo sulle realtà più dolorose, che riesce ad andare oltre le apparenze per continuare a sperare, è proprio di chi sa guardare con il cuore, al di là del dolore.

Che dalle ferite sanguinanti che vediamo attorno a noi sgorghi la compassione, cosicché la Chiesa in Europa, percorrendo il suo cammino sinodale, sia per tutti “sale della terra e luce del mondo” e possa indicare vie sempre nuove di solidarietà e di pace.